Chi applica strategie di email marketing teme costantemente che le proprie mail finiscano nella cartella spam, o peggio, che non arrivino nemmeno a destinazione. Una paura legittima ma spesso infondata, motivata dalla cosiddetta deliverability, un’area che conserva il primato in termini di diffidenza e oscurità, in grado di generare timori che finiscono per dissolversi non appena si prende confidenza con questo aspetto. La deliverability non va confusa con il delivery rate (il tasso di recapito), che indica i messaggi giunti a destinazione in relazione al totale dei messaggi inviati. Una metrica semplice e facile da misurare quest’ultima, che ha il suo opposto nel bounce, ovvero la percentuale di mail rifiutate dagli Internet Service Provider (ISP). Al contrario, la deliverability corrisponde alla capacità della mail di evitare la cartella spam: pertanto, potremmo tradurre il termine con “recapitabilità”.
Con il tempo, gli ISP hanno perfezionato i propri algoritmi per riconoscere la rilevanza delle mail e decidere se destinarle alla cartella spam o meno. I fattori che fungono da indicatori di reputazione sono: il mittente e l’oggetto, il contenuto e la struttura della mail, l’autorità del dominio di provenienza, la frequenza dei messaggi provenienti da quell’indirizzo, la reattività dei contatti. Ma perché chi applica strategie di email marketing teme così tanto la deliverability? Il motivo è che danneggiarla è molto facile: bastano poche scelte sbagliate è la frittata è fatta. Ripristinarla, invece, è un processo delicato, che necessita di risorse economiche e competenze. Ottimizzare la deliverability (la “recapitabilità”) di un messaggio è una sorta di funnel di engagement (volendo fare un parallelo con il funnel di vendita) e per farlo bisogna ridurre i bounce.
In genere, i bounce tornano al mittente muniti di un codice di classificazione che permette di capire la natura del rifiuto da parte dei server (indirizzo vuoto, casella piena, etc.). Qualora a tali notifiche non dovessero seguire altrettante correzioni, allora l’ISP passerà al blocco dei recapiti. Ovviamente, una quota minima di mail non consegnate è fisiologica per ogni campagna, ma per “curare” quella che potrebbe diventare un’emergenza è fondamentale affidarsi ad un professionista che sappia gestire la situazione, adattando la gestione di ciascun bounce al singolo caso. Una gestione smart dei bounce può migliorare le prestazioni di ogni campagna email, sia in termini di risultati che nella creazione di un’esperienza positiva per il destinatario.
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