I big data invadono quotidianamente anche i terminali di ognuno di noi. Un esempio del fenomeno può essere descritto analizzando le caselle mail: quante volte si viene contattati via mail da aziende che vogliono proporre i loro servizi o le loro informazioni? Sicuramente molte volte, e in alcuni casi nell’arco delle 24 ore si accumulano decine di messaggi di posta.
A questo punto, però, la domanda è un’altra: perché l’utente dovrebbe aprire proprio la mail di un preciso brand?
Ecco, quindi, la necessità di introdurre un terzo livello di lettura nella mail, che permetta di fare non solo una scrematura del mittente da cui proviene la mail e dell’oggetto della stessa, ma che consenta anche di avere una brevissima, ma efficace, anticipazione del contenuto. Questo terzo livello è chiamato email preheader, e il suo valore aggiunto è molte volte sconosciuto ai brand.
Per chi ha maggiore dimestichezza con il mondo legato ai motori di ricerca rispetto a quello delle email, si può paragonare l’email preheader alla meta tag description. Il principio è sempre lo stesso: il client della casella mail riserva pochi caratteri (spesso 100 o 110) in cui inserire il sunto estremo di tutto il contenuto della mail.
All’utente serve per selezionare quali sono i messaggi importanti e che, per lui, hanno un valore aggiunto, mentre all’azienda per convincerlo ad aprire la mail. In alcuni casi, addirittura, il preheader può essere la chiave di volta per aumentare la conversione.
Non è difficile immaginarlo: se nella email si propone uno sconto e l’importo dello stesso è riportato nel preheader (utilizzando, ad esempio, il simbolo “€” per risparmiare sui caratteri e attirare l’attenzione), l’utente sarà certamente invogliato a cliccare. E lo stesso vale per le mail informative: il contenuto deve poter essere immediatamente comprensibile.
Non utilizzare questo strumento non solo è uno svantaggio, ma può in alcuni casi avere un effetto disastroso: a prescindere dalla scelta dell’azienda, all’utente verrà mostrata un’anteprima del contenuto. Se però l’email preheader non è stato studiato, il sistema vi inserirà le prime parole che trova, il che porta a un risultato di infima qualità e sinonimo di poca professionalità.
Per aumentare il tasso di apertura delle email e, con un po’ di fortuna, anche quello di conversione, è possibile agire con diversi strumenti.
Un’idea, ad esempio, può essere quella di introdurre delle emoticon nell’email preheader: il tocco di colore che questi simboli sono in grado di apportare focalizzano l’attenzione nel grigio e triste mare delle email.
Invece, cosa non bisogna mai fare? Non bisogna ripetere l’oggetto per non annoiare il lettore e perdere un’opportunità, e di certo non si deve mai riportare il tasto “unsubscrive” in questa preziosa parte del testo: si compierebbe, in questo caso, l’esatto opposto di quello che è il fine ultimo del marketing.
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